Piantangeli e le grascete tolfetane: il resoconto

Dalla strada del Marano prendiamo a sinistra la strada vicinale Tiglia-Aravecchia e parcheggiamo le auto in uno spiazzo dopo aver superato l’area picnic alla nostra sinistra. Da qui il gruppo della Castellina raggiunge, in circa cinque minuti, il versante del monte che guarda Tolfa. Una grossa roccia, detto il Sasso della Strega, troneggia su una colata lavica. Sullo sfondo, ad una quota superiore, la Rocca di Tolfa. La strada basolata che abbiamo seguito per un tratto prosegue alla nostra sinistra costeggiando la colata. L’avvocato Tagliani, autore di “La Tolfa, dalle origini all’anno 1201”, ci racconta come le strade medievali e anche ottocentesche seguano tracciati ben più antichi, romani e pre-romani. Proseguiamo lungo la via che ci conduce in basso verso il fontanile del Baldone.
Dell’antica strada basolata, secondo alcuni potrebbe essere la Cornelia, è rimasto un brevissimo tratto nascosto tra i rovi. Ci rinfreschiamo al fontanile e nel frattempo ascoltiamo la storia di Antonio, detto Totò Pallò, raccontata da Mauro. Totò possedeva l’orto proprio davanti al fontanile. Un giorno fu avvicinato da due sconosciuti che gli chiesero indicazioni per raggiungere l’abbazia di Piantangeli. Totò diede loro le informazioni e, al loro ritorno, li invitó a pranzo. Per l’occasione preparò l’acqua cotta, tipico piatto tolfetano. Gli ospiti si stupirono del fatto che non c’erano posate in tavola, ma quando Totò spiegò che lui mangiava con le mani, eventualmente aiutandosi con il coltello, i due uomini si adeguarono al costume del padrone di casa. Ricevuti i complimenti per il pasto, Totò accompagnò i due sulla strada principale, dove due carabinieri erano in attesa. In quel momento Totò Pallò scoprì di aver ospitato re Gustavo di Svezia con il suo aiutante. Quando raccontò la storia in paese nessuno gli credette. Non si sa se fu soprannominato Pallò, pallonaro, in questa occasione oppure se quella in quella occasione aumentò la sua fama di conta palle. Tisselli anni dopo ebbe modo di parlare con uno dei due carabinieri, il maresciallo che abitava a Manziana. Ebbene egli confermò la storia di Totò che quindi, grazie a Mauro, fu riabilitato.
Dopo la storia ci inerpichiamo sul sentiero dei monaci che sale ripido proprio alle spalle del fontanile. E’ detto dei monaci perché era percorso giornalmente dai monaci dell’abbazia di Sant’Arcangelo che venivano a prendere l’acqua. Il sentiero, dopo la parte in salita, attraversa un bel bosco che lasciamo piegando a destra per entrare in una radura in pendenza. In cima sostiamo nel punto in cui, secondo i documenti, sorgeva un punto fortificato di cui però non restano tracce. Qui Sandro ha scoperto una lastra levigata che forse copre una tomba. Ne abbiamo i pulito i contorni dalla terra per meglio capirne la natura senza però toccare nient’altro. Poco più in là scopriamo un sasso scritto contrassegnato dai caratteri latini XI, C, M e da una croce. Ogni simbolo su un lato diverso del sasso. La zona è piena di sassi scritti, tutti numerati. Abbiamo visto il XXIX poco a lato della strada che scendeva al fontanile del Baldone e vedremo più tardi il X nei pressi dei ruderi dell’abbazia. Sono state fatte tante ipotesi ma quello dei sassi scritti rimane ancora un mistero da svelare. Dopo il pranzo ci siamo spostati nell’altura a fianco, ad una quota lievemente inferiore, dove sorgeva l’abbazia. La pianta rettangolare rivela la presenza di tre navate con i resti dei basamenti di alcuni colonne e dell’altare. Ciascuna navata termina con un abside, due minori e una principale. In corrispondenza a quella di destra sono state trovate delle tombe medievali. Sono facilmente riconoscibili i resti del campanile e la fonte battesimale situata vicino all’ingresso principale. Al centro è situato un coro di forma circolare. Claudia, oltre a descriverci la presenza degli elementi architettonici che ho citato, ci spiega che questo territorio era di confine tra la Tuscia romana e quella longobarda e che molti elementi fanno ritenere che il borgo ricadesse sotto il dominio longobardo. L’abbazia, costruita nel IX-X se., andò a sovrapporsi ad un luogo di culto preesistente. L’abbazia e l’annesso borgo furono abbandonati verso al fine del XIV sec., ai tempi della grande peste. Lasciata la chiesa attraversiamo il prato per incontrare, nei pressi del bosco, una serie di piante di stramonio, pianta allucinogena e velenosa di cui ho parlato l’anno scorso. Sostiamo per regolare le quote di iscrizione. Mauro nota con soddisfazione che i nuovi arrivati si sono ben integrati nel gruppo già alla prima uscita. Seguiamo la carrareccia fino a Grasceta dei Cavallari dove visitiamo le rovine di un antico tempio etrusco-romano. Questo luogo era la confine tra i territori delle potenze etrusche di Caere e Tarquininia. In un primo momento fu sotto il controllo di Caere per passare a Tarquinia quando l’importanza di Caere declinò a causa dell’espansione romana. Era un luogo di sosta e di preghiera per i viaggiatori che percorrevano la strada che univa le due città etrusche.

Più volte ho citato il termine grasceta, ma cosa è una grasceta?
Secondo il Dizionario Etimologico on line è “Un luogo grasso e fresco che produce erba da pascere i porci e gli altri animali di primavera.”
Mauro Tisselli, in Sui passi della Castellina, 1996, scrive che nell’accezione locale è “… un’ampia radura in mezzo al bosco”.

Le auto sono a circa dieci minuti di strada, per cui completiamo il percorso circolare e poniamo termine a questa splendida giornata che ha unito interessanti scoperte archeologiche a magnifiche vedute panoramiche sulla valle del Mignone.

Appuntamento a domani con l’escursione raccontata dalle foto di Claudia.

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