Escursione a Blera: la cronaca

Un antico proverbio africano dice “ Ciò che l’occhio ha visto il cuore non dimentica”: vale certamente per gli uomini ma qualche volta vale anche per un luogo. E’ questo l’effetto che mi ha fatto Blera – una natura incontaminata ( o quasi ) che fa da cornice ad un museo a cielo aperto.
Dopo aver lasciato la piazza principale di Blera, dove il gruppo si è radunato ci siamo diretti alla prima necropoli, quella del Terrone; la località prende il nome dal Torrione, cioè dai resti del Mausoleo Romano, poco distante, quasi completamente sommerso dalla vegetazione.
La struttura presenta una diversa formazione muraria, probabilmente è stato riutilizzato in epoca medievale con altri scopi.
Proseguendo sul pianoro, incontriamo un’altra struttura con tetto a volta, coperta da una tettoia, pensiamo ad un’altra tomba ma qualcosa non quadra: mancano i basamenti dei letti e all’interno ci sono delle colonne. Chiedo a Cecilia e Barbara ( loro ne sanno sicuramente più di me ) e Cecilia trova una similitudine con la chiesa paleocristiana di Luni sul Mignone. In effetti, qualcosa mi fa pensare alle catacombe.  Intorno scopriamo anche una serie di rocce a protezione, forse era un’area sacra riutilizzata in epoche diverse. Magari la prossima volta troviamo qualche informazione in più; nel frattempo che noi divagavamo il gruppo è sparito e mi rendo conto che intorno a noi è pieno di angoli da visitare e fotografare. Capisco subito che sarà soltanto un aperitivo culturale perché non c’è tempo di gustare ogni particolare con la dovuta calma e attenzione. È un’ottima scusa per tornarci!
Passo velocemente davanti ad una tomba e scopro un particolare che mi colpisce: all’esterno posizionate simmetricamente ci sono due vaschette – simili a fioriere – chissà cosa contenevano ? probabilmente qualcosa collegato alla vita di colui che si trovava all’interno.
Riesco a raggiungere il gruppo che, per fortuna, si è fermato davanti alla parete tufacea, completamente scavata, della necropoli del Terrone ..oggi rischio di perdermi!
L’architettura funeraria  rupestre si sviluppò in due periodi diversi: il primo ( tra il VI e il V sec. a.C.) intorno ai fiumi Mignone e Biedano ( S.Giovenale, Blera e S.Giuliano ); il secondo ( tra il IV e il II sec. a. C. ) lungo i fiumi Marta e Fiora ( Castel d’Asso, Norchia e Sovana ).
Con la scusa di fare una sosta, mangiamo qualcosa ammirando questa splendida parete. Nel riprendere la strada ci troviamo davanti la Grotta Pinta – papà ( N.d.R. Mauro Tisselli) mi fa presente che siamo in ritardo – ma non resisto e mi arrampico con altri del gruppo,  per andare a visitare una delle poche tombe con resti di decorazione pittorica: purtroppo è chiusa da una porta di ferro e non abbiamo modo di visitarla. Dal cartello scopro anche che, in passato, è stata danneggiata dall’uso improprio come ricovero agricolo… chissà cosa prevedeva l’Etrusca Disciplina per questo tipo di violazioni?
Lungo un rigagnolo d’acqua, papà si ferma e ci mostra una parete con delle piccolissime foglioline verdi: la pianta fa parte della famiglia delle Epatiche e ci racconta che gli Etruschi la utilizzavano per curare le malattie del fegato … da qui il nome ?
Ogni angolo nascosto, lungo il cammino, offre curiosità, piante, fiori e per qualcuno …asparagi; non riuscendo mai a vedere gli asparagi .. mi accontento di trovare anemoni, crocus, violette e primule e quindi niente cena!
All’improvviso si presenta davanti a noi  una splendida piana: è la necropoli di Pian del Vescovo; qui trovano posto le tombe più antiche, quelle risalenti al VII sec. a.C.
La Clodia attraversa tutta la distesa  e sopra il fiume Ricanale, attaccato direttamente alla roccia, troviamo il Ponte della Rocca, una struttura in tufo, ampiamente restaurata, costruita probabilmente nel II sec. a.C.
Percorriamo un tratto dell’antica strada, durante il quale papà ci racconta della sua storia: costruita presumibilmente nel III sec. a.C., partiva da Roma e giungeva fino a Cosa ( l’attuale Ansedonia ), ricalcava sicuramente un antico tracciato etrusco visto che toccava la maggior parte delle necropoli rupestri.
Prima di lasciare il ponte, scopro su un lato della rupe un’area sopraelevata, forse un altare: scatto al volo una foto e raggiungo il gruppo.
E come ogni nostra escursione non poteva mancare il guado, questa volta è il Biedano da attraversare: un gruppo di donne toste, tra cui Simonetta ( sfuggita al controllo dei dottori ) si tolgono calze e scarponi, alla faccia degli uomini che sono ancora sull’altra riva!
Riprendiamo la Clodia sull’altra sponda, tra fenditure del tufo e massi avvolti dal muschio e comincio a sentir parlare di panini e ricette: è arrivata l’ora di mangiare! Il luogo ideale per la sosta e per ricaricare le forze è il giardino della Chiesetta della Madonna della Selva; noto che i dolci scarseggiano e le signore mi ricordano che siamo in Quaresima – niente golosità per questa volta!
Riprendiamo la strada e quando ormai siamo sotto le case di Blera, papà si dirige verso un cancello di legno con sopra un cartello “ PERICOLO CADUTA MASSI “ …naturalmente entriamo! Siamo all’interno della Cava Buia ( quella di Blera ) e ne vale veramente la pena. Purtroppo presi dal fascino del luogo il gruppo si divide, metà si perdono o meglio proseguono, e non tornano indietro.
In mezzo ai due, a farne le spese è Gianfranco, che perde entrambi i gruppi. Grazie alla tecnologia riusciamo a ritrovarci tutti in piazza .. anche se, un po’ più alterati del solito.
Manca, però, un’ultima cosa da vedere, il Ponte del Diavolo: percorriamo un altro tratto della Clodia e dopo 5 minuti ci troviamo davanti questa splendida struttura a tre archi con oltre 2000 anni di storia sulle spalle, anzi sulla schiena .. del ponte! Scattiamo le ultime foto e rientriamo: lungo il sentiero, proprio dentro il paese, scopro una tomba abbandonata ed utilizzata come discarica..
Anche se l’ultima cosa che i miei occhi hanno visto è la peggiore, il cuore non dimentica tutto il resto.

Claudia Tisselli

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