A spasso tra le castelline nei monti della Tolfa

Dalla strada, appena superata Tolfa, ammiriamo i banchi di nebbia che coprono la vallata e che rimangono confinati al di sotto dei picchi delle alture. Più avanti scopriamo l’origine di tali banchi: i prati fumano.

Un fenomeno molto curioso si presenta ai nostri occhi mentre ci avviciniamo al luogo di partenza dell’escursione dell’associazione “La Castellina”. La spessa coltre di brina, che copre le superfici erbose, evapora per il calore dei raggi solari producendo dei sottili strati di vapore che si alzano rapidi dai prati e vanno a formare i banchi che galleggiano tutt’intorno.

Proprio sotto il castello di Rota svoltiamo a sinistra e parcheggiamo sul largo ponte che scavalca il Mignone nel punto in cui incontra il fosso Verginese.

Fiume Mignone nei pressi di Rota
Fiume Mignone nei pressi di Rota

Ci incamminiamo lungo la strada fangosa che, poco più avanti, sale alla nostra destra. Una piccola deviazione a destra, a metà salita, ci conduce alla castellina di San Pietrino. Le castelline sono dei pianori tufacei con bordi scoscesi, erano i luoghi preferiti per gli insediamenti abitativi e per le necropoli. La valle del Mignone è piena di queste castelline.

In questa di San Pietrino è presente al centro una grossa formazione tufacea a forma di dado. Roberto ci racconta della preferenza degli etruschi per questo tipo di insediamenti. La necropoli di San Pietrino si trovava all’interno del territorio di Caere, i reperti rinvenuti testimoniamo rapporti commerciali anche con Pyrgi e Tarquinia.

Torniamo sul sentiero principale e proseguiamo l’ascesa, la via è fangosa, comunque è praticabile senza particolari difficoltà.

Arrivati in cima ammiriamo il panorama. Alla nostra destra stanno il monte Piantangeli e il monte Bertone, al centro il monte della Rocca con dietro l’abitato di Tolfa, a sinistra il monte Tolfaccia.

Sul monte Piantangeli sono ancora presenti, abbandonati ai rovi, i resti di un’abbazia di epoca carolingia e dell’annesso borgo, entrambi furono abbandonati probabilmente all’epoca della grande peste. Tra questo monte e il monte Bertone, in località Grasceta dei Cavallari, esiste un tempio etrusco del VI sec. a. C., di cui rimangono solo la prima fila di pietre basali. Il tempio sorgeva sulla via di comunicazione che congiungeva Caere e Tarquinia.

Riprendiamo il cammino dando le spalle al panorama che ho descritto, il castello di Rota rimane alla nostra destra, ad una quota più bassa rispetto alla nostra, subito appresso si apre la valle della Botte. Mauro ci indica l’ubicazione della necropoli del Ferrone, meta di una prossima escursione.

Superato il fosse Chiarone, in secca, visitiamo un’altra castellina, un grosso masso è posto all’ingresso da tempo immemorabile, nel lato opposto sta una tagliata che conduce in basso. Da questa parte la parete di tufo è scoscesa. Non è rimasta alcuna traccia dell’antico abitato.

Il ragno in attesa della preda
Il ragno in attesa (by Camy)

Camminiamo ancora un po’ prima della sosta per il pranzo che che consumiamo su un bel prato in pendenza al di là di un fosso.

Ripartiamo adeguatamente rifocillati, subito troviamo segni della presenza di cinghiali, per la verità è dalla mattina che ci imbattiamo in buche dovute a questi animali. Essi scavano con il grifo, la parte terminale del muso, per estrarre tuberi, bulbi, tartufi senza disdegnare larve, lumache. Si dice che siano molto ghiotti di patate.

La strada è agevole e in piano, dopo meno di un’ora di troviamo sotto la castellina di San Pietro. Qui cresce un erbetta fitta, di un verde chiaro e intenso, che conferisce al prato una colorazione a chiazze dovuta all’alternarsi di questa erbetta con quella usuale che è più scura. Mauro spiega che questo tipo d’erba è caratteristica delle zone sulfuree. L’odore di zolfo, che si sente a tratti, conferma senza ombra di dubbio la natura di questa zona.

Mauro ci mostra anche un ramo con dei frutti di una pianta che ha trovato lungo il percorso, ce la mostra per avvertirci di fare attenzione perché si tratta di un vegetale molto velenoso.

Stramonio
Il frutto dello stramonio

Lo stramonio, conosciuto anche come erba del diavolo o erba delle streghe, è una pianta erbacea che contiene grandi quantità di alcaloidi. Chi l’ha usata per farne delle tisane non è sopravvissuto per raccontarlo. Essa presenta delle foglie frastagliate e dei frutti a forma di globo spinoso, tali frutti sono un po’ più grandi di una noce.

La castellina di San Pietro era sia abitata e sia utilizzata come necropoli, decidiamo di non salire a visitarla perché si è fatto tardi. Quindi attraversiamo il ponte sul Mignone e seguiamo per un tratto la strada asfaltata fino alla sorgente di acqua ferrosa posta sotto al castello di Rota. Lasciamo quindi la strada per attraversare un bel prato con dei bovini al pascolo, in breve raggiungiamo le macchine.

Poco prima di Civitavecchia, al bivio per l’Aquafelix, troviamo una pattuglia della polizia provinciale. L’agente, sul bordo della strada, è in pieno contro sole rispetto a chi arriva da monte, ci domandiamo quante auto sia riuscito a fermare visto che è invisibile fino a che non gli si arriva a fianco.

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