La cotta da vivo al BOA: il fattore tecnico. Dai grani alla birra e che birra!

La cotta dal vivo al Birrificio Ostiense Artigianale (BOA) rappresenta il culmine del corso birrario organizzato dall’Associazione Slowfood di Civitavecchia. Alle 8:30 del 4 aprile ci presentiamo puntuali ad Ostia e immediatamente Giovanni inizia a lavorare illustrandoci le varie operazioni.

Due contenitori da 650 litri sono ubicati di fianco al bancone della mescita. Tra di essi è piazzata una scaletta metallica che conduce a una pedana da cui è possibile vedere l’interno dei contenitori e manovrare un quadro comandi posto nel mezzo. Giovanni, tramite un apposito rubinetto, immette l’acqua filtrata da un dolcificatore che riduce da 40 a 5 i gradi di durezza e tramite un fornello, ubicato nella parte inferiore del bollitore e comandato dal pannello, la riscalda fino a 60°. Oggi realizzerà una Pils e quindi a questa temperatura rovescia nel bollitore un quantitativo di malto in ragione di 1 chilo ogni 3 litri d’acqua. Questa fase è detta mashing o ammostamento ed è la fase in cui gli enzimi attaccano gli amidi del malto trasformandoli in zuccheri semplici. Dopo una sosta a 60° Giovanni incrementa la temperatura fino a 72° dove effettua un altro step. Infine alza la temperatura a 78° per fermare le attività enzimatiche; in questa fase è importante non superare gli 80° temperatura alla quale inizierebbe l’indesiderata estrazione dei tannini dalle bucce.

A questo punto il birrario trasferisce il mosto dal mash-tun, o tino di ammostamento, al lauter-tun, o tino di lavaggio, che ha la medesima capacità del primo. In questo contenitore è posta una griglia che intercetta le trebbie. Il liquido che si raccoglie nella parte inferiore viene riportato a monte della griglia da un tubo e ricircolato. In questo percorso il mosto scorre in un contenitore cilindrico su cui posteriormente è montata una lampadina e anteriormente un oblò. Quando il birraio giudica che il mosto è filtrato abbastanza lo rinvia al mash-tun che a breve assumerà funzione di bollitore. Prima che le trebbie rimangano scoperte Giovanni immette 200 litri di acqua a 78° per il primo lavaggio delle trebbie o sparging. Dopo un riposo di circa 30 minuti invia anche quest’acqua al bollitore e immette circa 150 litri di ulteriore acqua per il secondo lavaggio. Durante queste operazioni il birraio preleva dei campioni per controllare i gradi Plato. Dopo il secondo lavaggio Giovanni si ritiene soddisfatto e inizia la fase della bollitura portando la temperatura a 98,5°. Questa è la temperatura per l’immissione del luppolo da amaro; poi lascia bollire per circa 70 minuti. Dieci minuti prima della fine aggiunge un ulteriore quantitativo di luppolo questa volta da aroma. Al termine c’è la fase di whirlpool in cui il mosto viene agitato tramite l’azione di due pale montate all’interno del bollitore. In questa fase le proteine che precipitano formano un cono nella parte inferiore e centrale del tino e non entrano nei tubi di uscita. Questi ultimi sono due: il primo pesca più in alto e il secondo in basso. Il secondo interviene viene aperto in un secondo momento quando le proteine sono tutte depositate. Il mosto viene trasferito in circa 25 minuti verso il tino di fermentazione. Nel percorso è interposto uno scambiatore di calore a piastre che ha il compito di raffreddare velocemente il liquido che contemporaneamente viene anche ossigenato. All’altezza dello scambiatore è posto il contatore UTIF che registra ai fini fiscali la quantità di birra prodotta. Il tino di fermentazione utilizzato da Giovanni ha la capacità di 1200 litri; egli intende riempirlo completamente con una cotta che effettuerà successivamente. Con questa ha raggiunto i 602 litri. Il suo record, con questa attrezzatura, è stato di 698 litri.

Il birraio a questo punto versa nel tino il lievito preparato in precedenza. A proposito di lievito Giovanni ci dice lui usa al massimo 4 generazioni e tra queste le migliori sono la seconda e la terza. E’ arrivato a una tale conclusione dopo molti esperimenti duranti i quali ha spinto un lievito fino alla tredicesima generazione.

Versato il lievito chiude il tino lasciando tuttavia aperta una valvola che chiuderà dopo 3-4 giorni. Dopo ulteriori 5-6 giorni di fermentazione toglierà il lievito accumulato nella parte inferiore che è a forma di cono rovesciato. Durante la fermentazione Giovanni varierà la temperatura secondo uno schema da lui prefissato dai 4 agli 11° con punte fino ai 16°. Dopo la fermentazione seguirà la maturazione per circa 28 giorni a 2-4°. Terminata la maturazione il tino verrà posta a 0°, in queste condizioni si può conservare fino a 6 mesi, e successivamente inviata allo spillatore.

Lo spillatore è un contenitore cilindrico orizzontale con un oblò. Esso è posto in un locale a circa una ventina di metri dal punto di prelievo per cui la birra necessità di una pressione di 3 bar per giungere al bancone. Una tale pressione caricherebbe la birra di troppa CO2 per evitarlo nello spillatore è posto un apposito sacco di plastica, da 500 litri, che riceve la birra dal tino. In questo modo la CO2 è esterna alla birra che arriva al consumo con il solo gas formatosi durante la fermentazione e la maturazione.

Per una cotta di pils occorrono 6 ore che diventano circa 10 nel caso di una weiss. Abbiamo visto Giovanni registrare in maniera puntuale e pignola misurazioni, temperature e altro lungo tutto l’arco delle operazioni. Nella sala tini sono presenti dei fogli di carta millimetrata che il birraio utilizza per registrare le curve di temperatura applicate durante la fermentazione. Ogni cotta genera una scheda e dei grafici che vanno ad alimentare l’archivio del birraio.

Ciò che mi ha sinceramente stupito è il fatto che dopo 25 anni di mestiere Giovanni ancora sperimenti nuove soluzioni alla ricerca della birra perfetta. E’ di scuola tedesca e si vede.

Giovanni ci spiega l’importanza assoluta della pulizia di tutto ciò che viene a contatto con la birra. In particolare lui effettua il lavaggio dei tini con la soda e successivamente con un acido per contrastare eventuali residui di soda che disturberebbero il prodotto.

Qui termina il fattore tecnico ma non meno interessante è stato il fattore umano di cui parlerò in un prossimo post.

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