La kotta klandestina, ovvero l’atto finale del corso birrario

Se la cotta al BOA, di cui ho narrato, è stata la tombola, ebbene la kotta klandestina è stata il tombolino del corso zimurgico organizzato da Slow Food Civitavecchia. I fortunati partecipanti hanno potuto osservare il mastro Orazio scendere dall’olimpo della teoria per una dimostrazione pratica di grande efficacia educativa. La cotta si è svolta nella casa di campagna di Simona, un passo fuori Civitavecchia, un’affascinante casetta in legno costruita dal padre che, per diletto, è carpentiere, contadino e pittore.

Scaricata tutta l’attrezzatura Orazio si è messo subito all’opera con la macinazione della miscela di malti preparata per l’occasione. Pale ale Mary Otter come base, Crystal per il colore, amber per le destrine e quindi il corpo, wheat per la stabilità della schiuma. La forza motrice umana per il mulino è stata presto sostituita, grazie al suggerimento del padrone di casa, con quella di un trapano a giri regolabili applicato al posto della manovella. Ciò non ha fatto risparmiare tempo ma la fatica sì. Per una cotta normale Orazio usa 4 kg di grani e occorrono circa 2 ore, con il mulino a manovella, per la macinazione. In questo caso impieghiamo circa 1 ora dato che, per la dimostrazione, il quantitativo è di 2 kg. Volendo frazionare i tempi si può macinare il giorno precedente e conservare il malto in frigorifero.

Terminata la macinazione il maestro versa il malto in una pentola contenente acqua (3 l per ogni kg di grani) riscaldata a 55,85 °C: inizia il mashing o ammostamento. I calcoli si fanno tramite un apposito software: grande invenzione i computer. L’immissione dei grani provoca una caduta di temperatura fino a 52 °C, ovvero esattamente la temperatura stabilita per il primo step. A questa temperatura si sosta per 15 minuti agitando spesso. Il tempo conta soltanto se il ph è 5,2 altrimenti si aggiungono piccolissime quantità di acido citrico (si può usare anche quello lattico) fino al raggiungimento di tale soglia. Il ph si può raggiungere anche utilizzando malti acidi, in tal caso occorre fare delle prove per determinarne la giusta quantità in relazione alla propria acqua. Questa è la fase della proteasi durante la quale vengono disgregate le proteine.

Il secondo step è a 67 °C e dura 65 minuti sempre agitando spesso. Le temperature sono indicate dalle ricette o, come in questo caso, dall’esperienza del birraio. Durante questo step avvengono le reazioni enzimatiche che trasformano gli amidi in zuccheri. In particolare le beta-amilasi convertono gli amidi in zuccheri fermentabili e le alfa-amilasi li convertono in zuccheri non fermentabili. A secondo delle ricette, e quindi dei grani utilizzati, o dei risultati desiderati è possibile scindere questa fase in due, a temperature diverse, per attivare singolarmente ciascuna amilasi.

Alla fine del secondo step si preleva del mosto che si miscela con della tintura di iodio. Se il colore della mistura è nero vuol dire che gli amidi non si sono trasformati e occorre prolungare il processo. Se invece tale colore tende al rosso significa che la trasformazione è avvenuta. Un rosso chiaro è indice di meno destrine mentre un rosso scuro è indice di più destrine e quindi di maggior corpo.

A questo punto Orazio riscalda il mosto a 78° e lo mantiene a questa temperatura per 10 minuti. In questa maniera blocca le reazioni enzimatiche. E’ importante in questa fase non superare gli 80°C per non estrarre i tannini che danno astringenza alla birra. Contemporaneamente l’acqua di una seconda pentola raggiunge i 78°.

Prima di continuare preciso dei dettagli che ho omesso in precedenza. Prima di scaldare l’acqua della prima pentola Orazio ha applicato una speciale calza forata per poter agevolmente togliere i grani prima della bollitura. Al disotto di essa ha piazzato un flessibile privato della gomma che funziona da filtro. Il flessibile, appoggiato sul fondo della pentola, è connesso a un tubo di rame verticale al quale adesso Orazio attacca un tubo di gomma in depressione dotato di rubinetto con filtro. Avendo cura di non far splashare il mosto e di non scoprire il letto di trebbie il birraio inizia a trasferire il contenuto in un pentolino che poi versa gentilmente di nuovo all’interno della pentola. E’ questa la fase di sparging o lavaggio delle trebbie. Il ricircolo va avanti fino a che il liquido non raggiunge la limpidezza desiderata. Orazio quindi aggiunge l’acqua dell’altra pentola sempre con gentilezza e infine, raggiunta la densità attesa, toglie il sacco con i grani. Tutto è andato secondo il programma e quindi il birraio ha utilizzato tutta l’acqua preparata.

Una volta alzato il fuoco il liquido inizia l’ebollizione e Orazio aggiunge il luppolo da amaro. Dopo 60 minuti sempre di ebollizione aggiunge la miscela di luppoli da aroma e gli ingredienti aromatizzanti che sono facoltativi. Altri 10 minuti e il liquido è pronto.

A questo punto Orazio prende la serpentina di rame, 10-11 metri avvolti a spirale, che ha sanificato precedentemente in acqua bollente acidula per almeno 18 minuti, la immerge nella pentola e la collega al rubinetto dell’acqua fredda per abbassare velocemente la temperatura del mosto.

Poi agita velocemente il mosto per far sì che le proteine non solubili, parte del grist sfuggito alla filtrazione e i residui della luppolatura si raccolgano al centro e non seguano il liquido attraverso il flessibile-filtro. Una volta che tutto il liquido è nel fermentatore Orazio aggiunge il lievito liquido preventivamente attivato. La lezione pratica finisce qui. Le attività a valle le conosciamo bene sia perché oggetto di dissertazione da parte del maestro e sia perché da tempo birrifichiamo partendo da estratti di malto già luppolati.

La lezione è stata molto produttiva sebbene per alcuni più che per altri. Qualcuno infatti si è distratto inseguendo salsicce e carni alla brace messe sulla graticola dal padrone di casa.

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